Colpi di spugna

Schermata-2015-05-04-alle-22.13.21-740x375«Be’, sai. Adesso sei ufficialmente una vedova e non mi sembra decente andare a letto con una donna vedova da neppure un’ora» dice Nick Corey a Rose, la sua amante, dopo averle ucciso il marito.

La citazione è tratta da Colpo di spugna, romanzo di Jim Thompson, pubblicato originariamente nel 1964 e diventato un film di Bertrand Tavernier nel 1981.

Questo ci è venuto in mente vedendo in questi giorni le immagini – spinte come un mantra dai media mainstream – di tutte queste “persone normali” che si stanno attivando per pulire i muri di Milano, stimolati dalle note vicende del corteo del primo maggio, e contemporaneamente – sui social e i siti di informazione indipendente – le immagini dei profughi in stazione centrale.

Per gli amanti delle coincidenze, di senso e di immaginario, Colpo di spugna è il titolo del film di Tavernier, il libro originale si intitolava Pop. 1280, cioè abitanti 1280, il numero di anime del paese dove è ambientato il romanzo, “compresi i negri”, dice un personaggio, “anche se i negri, si sa, un’anima non ce l’hanno”.

Cosa succede a Milano: mentre Expo ci impone un modello per il quale i soliti noti speculano intascando, legalmente e illegalmente, soldi pubblici, dove il territorio subisce gli attacchi della cementificazione brutale, dove l’agricoltura sana, biologica, di prossimità è umiliata dalle multinazionali che diventano sponsor del grande evento che dovrebbe Nutrire il Pianeta, per il quale ai lavoratori si chiede l’ennesimo sacrificio in termini di diritti e salario, e agli studenti di lavorare gratis… e potremmo andare avanti ancora un po’, ma ci teniamo a dire un’altra cosa: in una città dove quotidianamente arrivano centinaia di profughi dimenticati dalle istituzioni e dalle civili “persone normali” – assistiti invece da associazioni e gruppi di cittadini autorganizzati, alcuni dei quali militanti e appartenenti ai tanti vituperati centri sociali – mentre a Milano persone che fuggono dalla guerra e dalla miseria sono costrette a dormire per strada, abbandonate a se stesse, abilmente nascoste dietro la scintillante vetrina di Expo come polvere sotto il tappeto, Comune, imprese e gruppi di cittadini benpensanti si mobilitano per pulire i muri con le spugnette e il detersivo…

Ma stiamo divagando, stavamo raccontando di un libro. Nick Corey è il protagonista, sceriffo del paesino texano, indolente, pigro, pusillanime coi potenti, tonto e presentato come un imbecille, angariato e tormentato da tutti, ma con uno stipendio buono, una posizione comoda e la ferma intenzione di farsi rieleggere, motivo per il quale se ne sta sulle sue, badando a non dare fastidio ai potenti, così da non mettere in gioco la sua comoda situazione sociale ed economica.

Quando un incendio distrugge le baracche del quartiere nero, gli abitanti facoltosi e benpensanti si preoccupano dei loro negri: se si spaventano e scappano, chi lo raccoglie il loro cotone?

Una cittadina meschina, marcia e bigotta, dove le relazioni sociali sono false, formali e ipocrite, dove anche i rapporti di coppia, in famiglia o fra amanti, sono caratterizzati da violenza e sopraffazione. Insomma tutto normale. Finchè qualcosa, un episodio, una novità inattesa, una parola di troppo, non scatena nel nostro indolente pusillanime un’insospettabile violenza, che lo porta a dare un colpo di spugna: si trasforma così in una specie di “netturbino” idiota che, con l’innocenza di chi si sente forte di una specie di missione di giustizia, deve spazzar via dal paese la feccia, e comincia placidamente ad ammazzare gente, e a manipolare gli altri per uccidere al posto suo.

Parlando dei primi due che uccide, dice: «C’erano un sacco di cose, quasi tutte insomma, per le quali non potevo fare niente. Però, invece, potevo fare qualcosa con loro, e alla fine … alla fine ho fatto qualcosa». E infatti li ammazza.

Tranquilli, non vi diciamo come va a finire, anche perché vi invitiamo a leggere il libro – ripubblicato da Einaudi nel 2014 – e a vedere il film.

Ecco, forse tutto questo pezzo è frutto di un’associazione di idee nella quale pochi si riconosceranno, ma l’immagine della candida innocenza con cui i bambini cancellano a colpi di spugna la scritta Carlo vive ci ha fatto male, ci ha fatto pensare a una società dove il moralismo e il perbenismo scavalcano i diritti e cancellano la memoria con la tranquilla crudeltà con cui i i bravi e onesti milanesi si rimboccano le maniche e si mettono alacremente al lavoro per ripulire la città e curare la ferita che sentono inferta anche al corpo sociale cittadino.

Se è vero quello che scrivono @zeropregi e @perottostile  ieri in un ottimo pezzo sul Manifesto: “Questo virus reazionario, modellato su un’idea di società e politica che ruota intorno al binomio degrado-decoro, ha espresso un contagio interclassista, forgiando un popolo di Mastrolindo che per primo, ogni giorno, vive delle briciole e della precarietà che il sistema Expo ha messo in moto a Milano e in Italia per decenni. E queste persone esistono davvero, non sono ologrammi che a seconda dell’esito dei nostri cortei plaudono dalla finestra al passaggio del serpentone umano o ne chiedono la testa con isterica ferocia. Non possiamo dire in modo sbrigativo che a pulire Milano c’era solo una fetta di società con cui non è necessario dialogare”, se questo è vero, allora ci proviamo, a mettere da parte il giudizio e i paralleli sgradevoli con libri e film che magari non c’entrano con proprio tutti quelli che affermano che nessuno deve toccare Milano, ma proviamo a seminare un dubbio.

Il protagonista del libro di Thompson, nel giustificare la propria indolenza dice «Così ci pensai e ci ripensai, e poi ci pensai ancora un po’. E finalmente presi la decisione. Decisi che non sapevo che cavolo fare».

Ecco, a Milano, in stazione centrale, arrivano ogni giorno centinaia di persone, stranieri, profughi, vengono da viaggi pazzeschi nei quali rischiano la vita per tener viva una speranza. Dalle istituzioni non hanno indicazioni, supporto, sostegno. Il Comune e le aziende che regalano il Cif per pulire i muri non stanno facendo nulla e a fatica rispondono agli appelli di chi si sta occupando della situazione. Sono “persone non normali” che con un’autorganizzazione straordinaria e faticosissima quotidianamente portano cibo, acqua, vestiti, scarpe, coperte, passaggi, sostegno…

Per fare “bella” Milano bisogna toccarla. Ogni giorno.

Non siamo i primi a prendere parola sull’argomento. In particolare vi segnaliamo:

Zerocalcare – La città del decoro su Repubblica di domenica 10 maggio

Andrea Natella – Roma non fa schifo su Dinamo: http://www.dinamopress.it/news/roma-non-fa-schifo

@zeropregi e @perottostile – Cento colpi di spugna (fra Roma e Milano) sul Manifesto del 12 maggio: http://ilmanifesto.info/storia/cento-colpi-di-spugna-tra-roma-e-milano/

Angelo Miotto – Prima di cancellare leggi quello che c’è scritto su Qcode del 5 maggio: http://www.qcodemag.it/2015/05/05/carlo-vive-milano-non-si-cancella-la-memoria/

E senz’altro potremmo esserci persi qualcosa, segnalatecelo, lo aggiungeremo volentieri.

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Una risposta a “Colpi di spugna”

  1. […] -Cosa ne pensi dell’ondata esplosa dopo i fatti del Primo Maggio che ha portato centinaia di persone a scendere in piazza a cancellare, senza fare eccessive distinzioni, tutto ciò che veniva ritenuto “poco decoroso” per la città di Milano arrivando a scene non proprio edificanti come la cancellazione delle scritte per Carlo Giuliani? […]

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