20 Maggio – Due riflessioni di Melting Pot Europa

La lezione di Milano: camminare domandando

Nuovi scenari e nuove opportunità per i movimenti antirazzisti

Autore: Francesco Ferri

La mobilitazione del 20 maggio a Milano può rappresentare uno spartiacque. Centomila donne e uomini hanno attraversato la città, manifestando contro le politiche di chiusura dei confini, per un’accoglienza degna e per i diritti di tutt*. Per un’intera giornata vecchi e nuovi media sono stati inondati dall’energia messa in circolo dai partecipanti al corteo. Immagini, suoni, voci e colori hanno raggiunto luoghi e persone lontane, ben oltre i confini del capoluogo lombardo. È qui situato il primo, grande merito, da attribuire alle donne e agli uomini che hanno dato vita alla manifestazione milanese: per lunghissimi istanti, il dibattito politico che accompagna la questione immigrazione è stato travolto da un immaginario apertamente solidale.

C’è un secondo merito, più specificatamente attribuibile a chi ha partecipato alle mobilitazioni promosse dalle rete Nessuna persona è illegale. Il rischio che la manifestazione finisse per raccontare in maniera edulcorata il rapporto tra migranti, politiche di gestione dei flussi e società è stato infatti scongiurato dai chiari elementi di analisi e proposta politica, ben rappresentati, ad esempio, dai cartelli No one is illegal e No Minniti Orlando. Al di là degli slogan, la battaglia per denunciare tutta l’attualità, la rilevanza e l’arbitrarietà dei dispositivi di produzione giuridica di persone illegali è cartina tornasole della strutturale politicità della gestione dei flussi migratori, oltre ogni rappresentazione neutra e oggettiva.

L’elevatissima partecipazione e la politicizzazione della manifestazione sono due segnali importanti, a partire dai quali può essere utile aprire un’ampia discussione pubblica, alla ricerca degli elementi di novità e dalle sfide poste dalla mobilitazione del 20 maggio.

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Photo credit: Carmen Sabello (Milano, 20 maggio 2017)

Le mille voci della città di sotto

Partiamo dal primo elemento, incontrovertibile: la partecipazione alla manifestazione, dal punto di vista dei numeri e della ricchezza dei temi, è stata assolutamente rilevante. Le immagini provenienti da Milano sembrano fuori contesto rispetto all’idea che in questi mesi e in questi anni ci siamo fatti del rapporto tra società italiana e immigrazione. Certo, razzismi e populismi rappresentano evidentemente una presenza reale, forte, strutturata, organizzata. Allo stesso tempo, esiste un mondo di sotto – attivist*, associazioni, movimenti, sportelli legali, centri sociali, donne e uomini solidali – che è più numeroso e più vivo di come la rappresentazione dominante di una società totalmente vampirizzata dall’egoismo e dalla paura lasci intendere.

Questo mondo di sotto è uscito dal cono d’ombra nel quale è ricacciato dalla rappresentazione mediatica del dibattito pubblico. Altre voci, altri sguardi, altri linguaggi e altri punti di vista hanno raggiunto un pubblico molto più vasto dell’ordinario. È bene non retrocedere da questa consapevolezza: la lezione di Milano, che parla anche a chi ha seguito la manifestazione da altri territori, ci consente, d’ora in avanti, di avvicinarci con un ritrovato ottimismo della volontà alle cruciali sfide politiche che ci attendono.

Non è il caso, evidentemente, di ritenere che i problemi con i quali facciamo quotidianamente i conti – razzismo, politiche securitarie, controllo della mobilità – siano facilmente superabili. Allo stesso tempo, il corteo di Milano ha messo in circolo un’energia positiva, che ci aiuta a combattere un certo sconfittismo che spesso accompagna le iniziative solidali e le mobilitazioni. È possibile prendere parola, in tante e tanti, ed è possibile farlo in maniera aperta, inclusiva e, allo stesso tempo, politicamente determinata.

La politica e l’immaginario

Il significato politico della manifestazione è situato ben oltre il rilevante dato numerico. Due temi su tutti, in particolare, costitutivi della piattaforma Nessuna persona è illegale, restituiscono l’immagine di una mobilitazione non pacificata. La forte presa di parola contro le recenti novità legislative introdotte dalla legge Minniti Orlando ha evitato che la manifestazione di Milano fosse ridotta ad un generico ed astratto appello all’accoglienza, lontano dalle cruciali contraddizioni del presente. Più in generale, l’idea di richiamare, nel nome stesso della proposta politica Nessuna persona è illegale, tutta la rilevanza e l’attualità dei dispositivi giuridici di produzione di persone in condizione di illegalità è un messaggio politico inequivocabile. È qui rintracciabile – nell’illegalizzazione generalizzata – la razionalità di fondo che governa le politiche migratorie. Un numero significativo di donne e uomini, a partire dalle prassi introdotte nell’ambito dell’approccio hotspot, è arbitrariamente escluso – in ragione della nazionalità di provenienza – dalla possibilità di presentare domanda di asilo. Gli effetti di questa produzione di illegalità su larga scala sono rintracciabili, ad esempio, nelle condizioni di lavoro e di vita delle persone escluse dalle procedure e destinati a vivere strutturalmente ai margini.

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Photo credit: Carmen Sabello (Milano, 20 maggio 2017)

In una fase politica nella quale gli hotspot, nonostante l’illegittimità delle politiche di differenziazione e trattenimento, denunciate a più voci da rilevanti organizzazioni nazionali ed internazionali, costituiscono ormai una presenza assodata e normalizzata, affermare con forza che Nessuna persona è illegale è un posizionamento netto nell’attuale dibattito politico, contro le politiche di differenziazione tra richiedenti asilo e cosiddetti migranti economici.

Più in generale, ancor prima della definizione delle proposte e dei valori in campo, è in corso una cruciale battaglia per politicizzare il dibattito sull’immigrazione. Prevale, nell’attuale dibattito pubblico, una rappresentazione neutra e oggettiva della politiche di gestione dell’immigrazione. Contro questa idea, è necessario riaffermare – ad ogni latitudine – che l’immigrazione non è soltanto una vicenda sociale, ma è un fatto strutturalmente politico, e l’esperimento milanese ci consegna, anche da questo punto di vista, risultati incoraggianti.

La società va attraversata

Il transito dei migranti ci invita ad immaginare i confini come dei dispositivi strutturalmente permeabili. Negli ultimi anni alcune precise scelte politiche di chiusura dei confini fisici, giuridici e sociali hanno drasticamente peggiorato la qualità della vita dei transitanti e ridotto le possibilità di passaggio verso gli altri paesi europei. Nonostante queste politiche, tant* donne e uomini continuano a sfidare il regime di controllo della mobilità e a violare i confini.

È un immaginario forte, politicamente situato, e può rappresentare un’efficace metafora per ridefinire il nostro rapporto con la società. Anche la società, infatti, come i confini, è strutturalmente permeabile. Nonostante i discorsi d’odio, i razzismi e i populisti, è necessario e possibile attraversare il dibattito pubblico, per organizzare la società intorno a valori radicalmente alternativi a quelli dominanti. Questo è, forse, l’insegnamento più grande che ci arriva dalla lezione di Milano. Se scegliamo di camminare domandando, fuori dagli steccati all’interno dei quali ci hanno e ci siamo confinati, è possibile incontrare e attraversare una società meno pacificata, normalizzata e appiattita di quanto riteniamo. Non è che un debutto.


L’eccedenza antirazzista di Milano

Appunti su una giornata straordinaria

Un corteo meticcio di oltre 100mila persone dove emerge il colore oro argento della piattaforma “Nessuna persona è illegale“, un rifiuto alle leggi Minniti-Orlando e agli accordi italiani con la Libia.

Autori: Stefano Bleggi, Redazione

La fase politica del rapporto tra migrazioni, accoglienza e diritti nella quale siamo immersi non è per nulla semplice. Non solo perché attorno alla figura del “profugo” e al tema dell’accoglienza si stanno scagliando i peggiori istinti razzisti, ma perché la questione migratoria, in qualsiasi paese occidentale, e non solo in questo periodo storico, crea reazioni scomposte, innalzamento di muri e barriere, norme discriminatorie, ostacoli e limitazioni al riconoscimento dei diritti di cittadinanza.

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Photo credit: Sherwood Foto (Milano, 20 maggio 2017)

Quindi non è per nulla scontato riuscire a portare in piazza oltre centomila persone a favore dell’accoglienza e dei diritti dei migranti. Anche se l’appello di un “20 maggio senza muri” ha avuto una gestazione calata “dall’alto“, il dato della partecipazione non è una immediata conseguenza di una convocazione sottoscritta da personalità note o sponsorizzata da qualche media mainstream, ma è l’effetto di un meccanismo reticolare, un processo culturale e politico che spinge e riesce a far percepire a tanti e tante l’importanza di esserci e prendervi parte.

Per questo si può tranquillamente dire che la spinta a muovere più di centomila persone non può ritenersi merito dell’Assessore Majorino e del suo staff, ma di un sentire comune estremamente importante (molto più avanzato della classe politica attuale) che deve essere tenuto in forte considerazione.

Fare delle previsioni sui numeri e della piazza prima di sabato era un esercizio alquanto difficile. E’ perciò fondamentale poter dire – e va assolutamente rilevato – che esiste una composizione sociale variegata che non si è fatta conquistare dalle sirene allarmistiche della destra e dei populisti anche di sinistra, ma porta con sé valori di altra natura, magari politicamente non del tutto orientati, ma di certo in totale contrapposizione rispetto alle tesi della “sostituzione della razza” o del “prima gli italiani“. Di fronte a questi numeri la falsa argomentazione che tutte le persone che hanno colorato il serpentone milanese sono “addette ai lavori” o campano grazie all’accoglienza non può reggere.
Senza alcun possibile fraintendimento, il colpo d’occhio rappresentato dalla marea meticcia che ha attraversato la città di Milano non può che far emergere una certa soddisfazione in chiunque oggi in Italia si impegni e lotti per allargare i diritti di piena cittadinanza a tutte le persone, senza alcuna ambiguità e discriminazione etnica o di status giuridico.

La manifestazione di Milano ci dice chiaramente che attorno a ciò che può definirsi antirazzismo c’è un terreno fertile che va coltivato con estrema cura, uno spazio aperto nel quale non sono per nulla definiti i confini, dentro cui è possibile intrecciare riflessioni, proposte, pratiche di cooperazione, solidarietà e mutualismo, lotte per i diritti, nonché portare informazione e criticità rispetto alle attuali politiche nazionali e transnazionali interne al paradigma dell’Europa fortezza.

Erano tanti anni che non si vedeva in Italia un’espressione antirazzista di tale portata e che riuscisse a fare breccia nel dibattito pubblico, sia in quello mainstream, sia in quello di movimento. E bene hanno fatto le associazioni, i centri sociali e i collettivi a portare dentro questo contesto un valore aggiunto, ben articolato e rappresentato dalla piattaforma di “Nessuna persona è illegale“: un’amplissima parte di corteo che ha scelto di accettare la sfida portando dei contenuti chiari, caratterizzandosi con parole d’ordine semplici ed immediate, accompagnate da un azzeccato effetto ottico oro e argento, e che ha voluto non rimanere confinata a chiudere la marcia in modo solitario.

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Photo credit: Sherwood Foto (Milano, 20 maggio 2017)

E qui, probabilmente, si legge un altro dato molto importante: la scelta di attraversare più punti del corteo, dalla testa alle transenne del palco finale, per ribadire che se è giusto – come proponeva l’appello di “20 maggio senza muri” – sostenere tutte “quelle scelte che, a livello nazionale, ci portino a compiere, senza ambiguità, passi avanti reali, come l’effettivo superamento della Legge Bossi Fini, l’approvazione della Legge sulla Cittadinanza, la necessità di rafforzare un sistema di accoglienza dei migranti […]“, è altrettanto giusto e necessario respingere con determinazione le attuali leggi discriminatorie che portano il nome dei ministri Minniti e Orlando, la costruzione dei nuovi CIE, i rastrellamenti etnici, il processo di esternalizzazione delle frontiere attuato attraverso accordi con i paesi di origine e transito dei migranti.

Questo sentimento di critica è andato, appunto, oltre allo spezzone di “No one is illegal“, coinvolgendo sia tantissime persone che hanno sfilato portando con sé i cartelli di contrarietà alle leggi Minniti-Orlando, sia i grandi firmatari dell’appello istituzionale, che dal palco del Parco Sempione hanno preso posizione contro le sopracitate leggi, ma anche contro la campagna d’odio verso le ONG che operano nel Mediterraneo salvando quotidianamente vite umane e in generale la criminalizzazione della solidarietà.

Sia chiaro, in certi momenti la retorica udita, come quella del presidente del Senato Grasso che dal microfono ha ricordato il muro di Berlino, sorvolando invece sull’attuale regime del confine instaurato sulle principali rotte migratorie euromediterranee, è stata insopportabile, ma le valutazioni della giornata devono immediatamente fare i conti con la realtà odierna.

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Photo credit: Sherwood Foto (Milano, 20 maggio 2017)

Milano rappresenta perciò un segnale estremamente positivo che ci fornisce degli spunti e ci indica delle traiettorie per il futuro: il primo è come ci sia una parte consistente di persone a favore dell’accoglienza e dei diritti dei migranti e per questo fortemente critica con l’operato del governo. E’ necessario capire come massificare una battaglia antirazzista contro le leggi securitarie ed i suoi effetti intrecciandola ai soggetti che hanno rappresentato un’eccedenza numerica per certi versi inaspettata.

Il secondo è che esiste una soggettività migrante sempre più presente e interna ai percorsi di rivendicazione di istanze collettive, che partecipa ai cortei per essere visibile e che vuole giustamente rivendicare uno spazio nel dibattito pubblico. Qualsiasi percorso politico che punti a trasformare l’esistente deve mettere nelle condizioni di far emergere questo protagonismo.

In ultimo, con sguardo lungimirante, è necessario prendere alla lettera i propositi iniziali della piattaforma “Nessuna persona è illegale“, provando ora a consolidare un percorso nuovo che in poche settimane è riuscito a costruire lo spezzone decisamente più numeroso, a influenzare e diffondere i suoi contenuti in tutto il corteo, nonché a dosare, con intelligenza, i momenti di contestazione alle politiche del governo e a quei rappresentati istituzionali, sostenitori di leggi securitarie e discriminatorie, che volevano sfruttare la piazza milanese per un’ ipocrita passerella personale.

da www.meltingpot.org

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